La superiorità biologica: la più pericolosa e mortale delle ideologie (A. Dworkin, 1977)

La superiorità biologica: la più pericolosa e mortale delle ideologie (A. Dworkin, 1977)

da LETTERS FROM THE WARZONE

Traduzione

SCUM BOOK CLUB AND DEEDEE IWAKURA

Fonte qui: Articolo originale qui

Uno degli insulti che mi vengono continuamente rivolti dalle donne pro-pornografia, a nome del femminismo nei media misogini, è che io sostenga una visione primitiva e deterministica della biologia. Woman Hating (1974) ripudia chiaramente ogni tipo di determinismo biologico; così come Our Blood (1976), in particolare nel saggio “The Root Cause.” E così questo scritto, pubblicato ben due volte, una nel 1978 in Heresies e l’altra nel 1979 in Broadsheet. Heresies fu molto letto nel movimento delle donne. L’evento descritto qui, che ebbe luogo nel 1977, era abbastanza noto, e la mia posizione sul determinismo biologico—al quale sono contraria—è risaputa nel movimento delle donne. Un problema è che questo saggio, come altri in questo libro, manca di presenza culturale: nessuno sente di doverlo conoscere o citare per sembrare meno ignorante; a nessuno verrà rinfacciato di non averlo letto. Di solito, critici e detrattori politici devono conoscere le pubblicazioni degli autori maschi per diffamarli. Per le ragazze non vale la stessa regola. Una “femminista” pro-pornografia ha pubblicato un articolo in cui scrive che sono contro l’aborto, alla faccia dei miei decenni di attivismo per il diritto all’aborto e di militanza in gruppi pro-aborto. Nessuno ha mai pensato di verificare le sue affermazioni; e il giornale non ha voluto pubblicare una retrazione. Nulla contano le tue pubblicazioni, né i tuoi anni di attivismo.

Chi non appartiene alla razza buona non è altro che sterco.

Hitler, Mein Kampf1

Sarebbe folle cercare di stimare il valore dell’uomo in base alla razza, e dichiarare guerra al presupposto marxista che gli uomini siano tutti uguali, a meno che non siamo determinati al seguire le sue estreme conseguenze. E l’estrema conseguenza del riconoscere l’importanza del sangue—e quindi, del fondamento razziale in generale—è il trasferimento di questa stima all’individuo.

Hitler, Mein Kampf2

Fischi. Donne che mi urlano: troia, bisessuale, si scopa gli uomini. E prima che proferissi parola, tremai, l’idea di parlare mi spaventava come non mai. E, in una stanza con 200 sorelle lesbiche, ero arrabbiata come non mai. “Sei bisessuale?” gridò una donna in mezzo al pandemonio, i fischi e le grida fusi in un rumore assordante. “Sono ebrea” risposi; poi feci una pausa, “e lesbica, e donna”. E codarda. ‘Ebrea’ bastava. In quella stanza, bastava quello. In quella stanza, rispondere alla domanda “Ti scopi ancora gli uomini?” con un No, come ho fatto io, significava tradire le mie convinzioni più profonde. Per tutta la vita ho odiato i proscrittori, chi alimenta il conformismo sessuale. Rispondendo, ho ceduto agli inquisitori, e mi vergognai. Mi umiliò vedermi in quel momento: una che resiste agli inquisitori esterni con la militanza, ma che cede alle inquisitrici interne.

L’evento consisteva in un seminario sul “Lesbismo come politica personale” a New York City, Lesbian Pride Week, 1977. Una sedicente lesbica separatista aveva appena concluso il suo intervento. Oltre a una descrizione generalmente vera dei crimini maschili contro le donne c’era un certo marciume ideologico, ultimamente sempre più diffuso nei circoli femministi: gli uomini e le donne sono due specie o razze (parole interscambiabili) distinte; gli uomini sono biologicamente inferiori alle donne; la violenza maschile è un’inevitabilità biologica; per eliminarla, ci si dovrebbe sbarazzare di quella specie/razza (i mezzi elencati in questa particolare serata: sviluppare la partenogenesi come attuabile realtà riproduttiva); eliminando la specie/razza inferiore dei Maschi, la nuova Ubermensch Donna (profetizzata dalla suddetta lesbica separatista3) dominerà sulla terra, per compiere il suo vero destino biologico. A noi resta inferire che la società da lei creata sarà buona perché lei è buona, biologicamente buona. Nel frattempo, l’emergente SuperDonna non ha intenzione di “incoraggiare” le altre a “collaborare” con gli uomini—non metterà in piedi nessun consultorio o santuario per donne maltrattate. Del resto, deve conservare la sua “energia”, non può sprecarla proteggendo le donne “più deboli” con riforme varie.

Il pubblico applaudì entusiasta ai passaggi sulla superiorità femminile/inferiorità maschile. Questa dottrina sembrava musica per le loro orecchie. C’era del dissenso, soffocato, sepolto tra gli applausi? In quel responso c’era forse la soddisfazione spontanea che sentiamo quando, finalmente, la situazione si ribalta, anche per un minuto, anche solo nella nostra immaginazione? O l’impotenza ci ha fatte impazzire, tanto da farci segretamente sognare una soluzione finale perfetta nella sua semplicità, assoluta nella sua efficacia? E arriverà mai una leader che colpirà in quel segno segreto, sfrutterà quel sogno, ribaltando il nostro incubo? Non c’è nessuna memoria, angosciante e proibitiva, di sangue versato, corpi bruciati, popoli schiavizzati da chi nella storia ha avallato la stessa logica demagogica?

Nel pubblico, ho visto donne che stimavo e a cui volevo bene, donne a me non sconosciute, buone non per la biologia, ma perché vogliono essere brave persone, travolte da un mare di consensi. Ho deciso di dire qualcosa perché quelle donne applaudirono. Ho deciso di dire qualcosa perché sono un’ebrea che ha studiato la Germania nazista, e so che molti tedeschi seguaci di Hitler volevano essere brave persone, ma hanno trovato più semplice dirsi buoni per definizione biologica che per condotta. Quella gente, devastata da quella che sentivamo come un’impotenza insopportabile, si convinse di essere così biologicamente buona da non poter mai fare nulla di male. Come spiegato da Himmler nel 1943:

Abbiamo sterminato un batterio [gli ebrei] perché non volevamo esserne contagiati e morirne. Non vedrò il minimo cenno di sepsi rivelarsi o prender piede. Ovunque si manifesterà, la cauterizzeremo. In fin dei conti, possiamo dire di aver adempito questo arduo compito per amore del nostro popolo. E il nostro spirito, la nostra anima, il nostro carattere non ne hanno risentito.4

Così parlai, terrorizzata. Dissi che non volevo far parte di un movimento che sosteneva l’ideologia più perniciosa della terra. Quella stessa ideologia di determinismo biologico autorizzò il massacro e/o lo sfruttamento di qualsiasi gruppo concepibile, incluse le donne per mano degli uomini. (“Facciamogli assaggiare la loro medicina,” urlò una donna.) Ovunque si volgesse lo sguardo, fu quella filosofia a giustificare l’atrocità. Era una fede capace di distruggere vite, di assumere vita propria.

Gli insulti continuarono con feroce intensità mentre parlavo, ma via via quelle donne che stimavo o amavo, e altre che non conoscevo, iniziarono a mettere in discussione la filosofia che avevano applaudito, e il loro consenso. Anche se molte mi abbracciarono mentre me ne andavo, rimasi comunque nauseata, umiliata dagli insulti, emotivamente distrutta dall’abuso. Il tempo passa, ma la violenza fatta non si cancella. Non si cancella mai.

Mi si accusa di sessismo. Ma credo davvero che le differenze tra sessi siano la nostra eredità più preziosa, anche se rendono le donne superiori nelle cose più importanti.

George Gilder, Sexual Suicide5

Forse questa saggezza femminile viene dalla rassegnazione alla realtà delle aggressioni maschili; più probablile è che risulti dalla consapevolezza che alla fine è lei quella più importante. E il risultato è che, anche se ci sono più uomini brillanti che donne brillanti, ci sono più donne buone che uomini buoni.

Steven Goldberg, The Inevitability of Patriarchy6

Come classe (non per forza come individui) possiamo fare figli. Da ciò, per l’ideologia suprematista maschile, derivano tutti i nostri attributi e le nostre potenzialità. Sul piedistallo, immobili come statue di cera, o nell’immondizia, icone fallite ricoperte di merda, veniamo esaltate o degradate per i nostri tratti biologici. Appellandosi a geni, genitali, DNA, feromoni, biogrammi, ormoni o qualunque cosa vada di moda, i maschilisti sostengono che la nostra biologia ci rende troppo buone, cattive o diverse per fare altro che non sia riprodurci o servire gli uomini sessualmente e domesticamente.

Le nuove versioni di questo tema dolorosamente arcaico si concentrano su ormoni e DNA: gli uomini sono biologicamente aggressivi; i loro cervelli fetali sono stati inzuppati di androgeno; il loro DNA, per riprodursi, li istiga all’omicidio e allo stupro; nelle donne, il pacifismo è ormonale e la dipendenza dalla maternità è molecolare. Dato che, in termini darwiniani (interpretati strettamente in funzione degli interessi sociali maschili), la ‘sopravvivenza del più forte’ implica il trionfo dei più aggressivi, gli uomini sono e sempre saranno superiori alle donne in termini della loro abilità nel proteggere ed estendere la loro autorità. Dunque, le donne, essendo “più deboli” (meno aggressive), dovranno sempre sottostare agli uomini. Che questa teoria dell’ascesa sociale dei più forti ci destini all’eterna umiliazione e che, applicata alla razza, evochi l’identica visione hitleriana della lotta evolutizionaria non deve preoccuparci più di tanto. “Secondo le recenti teorie,” ci rassicura Edward O. Wilson in Sociobiologia: la nuova sintesi, una bibbia della giustificazione genetica per lo sterminio, “il genocidio o il genosorbimento fortemente favorevole all’aggressore deve avvenire solo una volta ogni poche generazioni, per dirigere l’evoluzione.”7

Vi ho già riferito l’opinione molto bassa che di voi [donne] ha Mr Oscar Browning. Vi ho indicato cosa, un tempo, pensava di voi Napoleone e cosa Mussolini pensa ora. Poi, nel caso qualcuna di voi aspirasse alla narrativa, ho riportato, a vostro vantaggio, l’esortazione di quel critico ad avere il coraggio di guardare in faccia alle limitazioni del vostro sesso. Ho fatto riferimento al Professor X e dato risalto alla sua affermazione secondo cui le donne sono intellettualmente, moralmente e fisicamente inferiori degli uomini […] ed ecco il mio ultimo ammonimento […] Mr John Langdon Davies avverte le donne del fatto che «quando i figli cessano d’essere desiderabili, le donne cessano d’essere necessarie». Spero vorrete prenderne nota.

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé8

Considerando le argomentazioni intellettuali e scientifiche degli uomini in congiunzione con la loro storia, bisogna concludere che siano moralmente deficienti. La questione fondamentale è: dobbiamo accettare la loro visione del mondo di una polarità morale che è biologicamente fissata, geneticamente o ormonalmente o genitalmente (o qualsiasi organo o secrezione o particella molecolare che farà da prossimo capro espiatorio) assoluta; o la nostra esperienza storica di privazione sociale e di ingiustizia ci insegna che per essere liberi in un mondo giusto dovremo distruggere il potere, la dignità, l’efficacia di questa idea al di sopra di tutte le altre?

Ultimamente, sempre più femministe promuovono modelli sociali, spirituali o mitologici di supremazia femminile e/o matriarcato. Per me, questo significa conformarsi ciecamente ai pilastri del determinismo biologico, su cui si basa il sistema sociale maschile. Attirate da un’ideologia basata sul significato sociale e morale di una biologia femminile distinta per la sua familiarità emotiva e filosofica, dalla dignità spirituale insita in un “principio femminile” (essenziale come nella sua definizione maschile), ovviamente inibite dall’abbandonare per volere o per istinto l’impegno centenario e di tutta una vita del procreare come atto creativo femminile per eccellenza, le donne cercano sempre più di mutare l’ideologia che ci ha schiavizzate in una celebrazione dinamica, religiosa e psicologica del potenziale biologico femminile. Questa sedicente trasformazione avrà anche valore come meccanismo di sopravvivenza—sarebbe a dire che la venerazione della nostra facoltà procreativa come potere potrebbe temporaneamente trattenere la mano patriarcale che agita la provetta. Ma il prezzo che paghiamo è il diventare portatrici di un malore che dovremmo curare. Non è un caso che nei matriarcati antichi i maschi venissero castrati, offerti in olocausto ed esclusi dalle forme di potere pubblico; tanto meno lo è il fatto che molte suprematiste femminili di oggi credano che gli uomini siano una razza o una specie distinta e inferiore. Ovunque il potere è accessibile o l’integrità corporea viene onorata sulla base di un attributo biologico, la brutalità sistematizzata permea la società e l’omicidio e la mutilazione la contaminano. Non ci dimostreremo differenti.

É vergognosamente facile per noi godere delle nostre fantasie di onnipotenza biologica mentre disprezziamo gli uomini perché godono della loro effettiva onnipotenza. Ed è pericoloso—perché il genocidio nasce nella convinzione, per quanto improbabile, che le classi di distinzione biologica sanciscano indiscutibilmente la discriminazione sociale e politica. Noi, devastate dalle conseguenze concrete di quest’idea, vogliamo ancora crederci. Niente più di questo ci dà la prova—una triste, innegabile prova—che siamo più simili agli uomini di quanto noi o loro vogliano credere.

1

Adolf Hitler, Mein Kampf, trans. Ralph Manheim (Boston: Houghton Mifflin Company, 1962), p. 296.

2

Hitler, Mein Kampf, p. 442.

3

L’ideologia della SuperDonna è da distinguere in generale dal separatismo lesbico (che, per l’appunto, consiste nell’organizzazione politica e/o culturale delle lesbiche in gruppi esclusivamente femminili) per due principali dogmi: (1) un rifiuto dell’avere a che fare con donne che hanno a che fare con uomini, spesso includendo donne con figli maschi e (2) il principio assoluto della superiorità biologica femminile.

4

Jeremy Noakes and Geoffrey Pridham, ed., Documents on Nazism l9l9-1945 (New York: The Viking Press, 1975), p. 493.

5

George Gilder, Sexual Suicide (New York: Quadrangle, 1973), v.

6

Steven Goldberg, The Inevitability of Patriarchy (New York: William Morrow and Company, Inc., 1973), p. 228.

7

Edward O. Wilson, Sociobiology: The New Synthesis (Cambridge, Mass.: The Belknap Press of Harvard University Press, 1975), p. 573.

8

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé

Lascia un commento